Azioni basate sul diritto Europeo
Il diritto dell’Unione europea (o diritto comunitario, per usare il termine pre-Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009) riguarda tutte le persone fisiche e giuridiche, anche quelle che vivono/operano esclusivamente all’interno dei propri confini nazionali.
Esso, infatti, non solo si applica alle relazioni internazionali (intra ed extra UE), ma ha pure un’influenza su molti rami del diritto interno (perché direttamente applicabile o perché la legislazione dello Stato membro vi si deve conformare).
Il diritto dell’Unione può essere fatto valere, da coloro che ne hanno interesse, in molteplici sedi.
DAVANTI AI GIUDICI NAZIONALI
Poiché il diritto dell'Unione europea è applicabile negli Stati membri, eventuali vertenze circa la sua interpretazione o validità devono essere sollevate davanti ai giudici nazionali, competenti secondo le regole processuali interne di ogni Stato.
Compete, infatti, ai giudici nazionali in primis applicare il diritto comunitario e a farlo rispettare.
Peraltro, se ritiene che una norma interna sia in contrasto con il diritto dell’Unione, il giudice nazionale investito di una specifica controversia ha anche il potere di disapplicare detta norma nel caso di specie (senza dunque dover previamente sollevare una questione di legittimità costituzionale o attendere la sua abrogazione legislativa).
Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia da parte del giudice nazionale
Come detto, sono in primis i giudici nazionali a essere tenuti ad applicare il diritto comunitario e a farlo rispettare, se del caso in collaborazione con la Corte di giustizia dell’Unione europea avente sede a Lussemburgo.
In particolare, se hanno dei dubbi circa l’interpretazione o la validità di una norma europea che risulti essenziale ai fini della sentenza che dovrà essere emessa, i giudici nazionali possono/devono attivare lo strumento del c.d. rinvio pregiudiziale.
Infatti, il giudice nazionale - davanti al quale sia radicato un procedimento (civile, penale, amministrativo o tributario) il cui esito dipenda da una norma dell’Unione - può (oppure deve, se il giudizio pende davanti a giudici di ultimo grado come - per esempio in Italia - la Corte di cassazione o il Consiglio di Stato) sospendere tale processo per sottoporre alla Corte di giustizia un quesito pregiudiziale sulla corretta interpretazione o sulla validità di detta norma (ai sensi dell’art. 267 TFUE, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea)
Il rinvio pregiudiziale costituisce un importantissimo strumento di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia, in quanto fornisce ai primi - per esempio - gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione necessari a risolvere le controversie dinanzi a essi pendenti (ove - in ipotesi - le parti abbiano entrambe invocato il diritto comunitario attribuendogli però una diversa interpretazione, oppure abbiano invocato una il diritto comunitario e l’altra il diritto nazionale).
Sebbene il rinvio pregiudiziale possa essere disposto solo da un giudice nazionale, nulla toglie - anzi, a volte è altamente consigliabile - che una o più parti del processo a quo sollecitino l’attivazione di tale strumento, se del caso suggerendo al giudice nazionale i quesiti da presentare alla Corte di giustizia.
Occorre inoltre ricordare che, nella parentesi procedurale che si apre a Lussemburgo, le parti del processo nazionale hanno diritto di presentare alla Corte di giustizia osservazioni scritte e (in caso di udienza di trattazione) orali. In tal modo, esse hanno la possibilità di giocare un ruolo attivo per cercare di indurre la Corte europea a fornire un’interpretazione (o un giudizio circa la validità) della norma comunitaria favorevole alle loro tesi difensive.
Trattasi pertanto di uno strumento che può rivelarsi decisivo per la tutela dei clienti dello Studio.
Va infatti ricordato che - proprio grazie al dictum
della Corte di giustizia reso in sede pregiudiziale - riassunto
il giudizio nazionale a quo lo Studio ha ottenuto, a
volte, il proscioglimento da un’accusa penale o l’accertamento
dell’illegittimità di una pretesa fiscale, doganale o
amministrativa (accusa o pretesa che erano il frutto di una
non corretta interpretazione o applicazione della normativa
comunitaria).
Ricorso diretto al Tribunale dell’Unione europea
A determinate condizioni, gli interessati possono anche ricorrere direttamente al Tribunale dell’Unione europea (le cui decisioni sono poi impugnabili davanti alla Corte di giustizia) per chiedere:
- l’annullamento di un atto (art. 263 TFUE) o l’accertamento di un’omissione (art. 265 TFUE) delle istituzioni europee (e, in certi casi, anche degli organi e organismi dell’Unione) che ritengano illegittimi; e/o
- il risarcimento dei danni subiti (artt. 268 e 340 TFUE) in conseguenza di tali atti o omissioni.
Tra gli strumenti di controllo, da parte del Tribunale,
della legalità dell’operato delle istituzioni (nonché degli
organi e organismi) dell’Unione va anche ricordata l’azione
per responsabilità contrattuale sulla base di un’eventuale
clausola compromissoria contenuta in un contratto stipulato
dall'Unione o per conto di questa con una determinata
impresa (art. 272 TFUE).
Patrocinio dello Studio davanti al Tribunale e alla Corte di giustizia dell’Unione europea
I Partner dello Studio - oltre alle cause fondate sul diritto europeo davanti ai giudici nazionali (italiani, tedeschi, belgi e francesi) - a oggi hanno patrocinato quasi settanta procedimenti davanti al Tribunale e alla Corte di giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo ==> Cause.
Detti procedimenti hanno riguardato, per esempio, le seguenti materie:
- antitrust (contro sanzioni irrogate dalla Commissione europea per partecipazioni a cartelli e intese ritenute anticoncorrenziali);
- aiuti di Stato (concessi a imprese e dalla Commissione europea considerati incompatibili con le regole comunitarie);
- diritto fiscale (imposte indirette sulla raccolta dei capitali in relazione all’imposta di registro prevista dal diritto italiano);
- diritto doganale (classificazione tariffaria delle merci importate da Paesi extra UE);
- importazioni di prodotti agricoli da Paesi terzi (in relazione al sistema delle licenze previste dal diritto europeo per alcuni settori ortofrutticoli);
- diritto agrario europeo (premi e finanziamenti previsti dalle varie normative di settore);
- diritto della pesca europea (contro divieti di utilizzo di determinate tecniche di pesca);
- ambiente (in relazione alla protezione contro l’inquinamento lacustre o acustico);
- diritto parlamentare europeo (assistenza dei deputati europei in relazione al loro regime pensionistico e previdenziale);
- trasparenza amministrativa delle istituzioni dell'Unione europea (contro dinieghi - totali o parziali - di accesso a documenti);
- funzione pubblica europea (ricorso ai sensi dell’art. 270 TFUE contro provvedimenti adottati dalle istituzioni comunitarie in relazione al rapporto di impiego con i loro funzionari).
Denunce alla Commissione europea contro imprese o Stati membri
Lo Studio, inoltre, regolarmente prepara, introduce e coltiva davanti alla Commissione europea denunce in vari settori.
La denuncia - è bene evidenziarlo - non fa venir meno la necessità, ove sussista (anche per evitare prescrizioni o decadenze), di esperire le previste azioni giudiziarie sul piano nazionale; tuttavia, può costituire uno strumento “strategico” ai fini della migliore tutela dei clienti dello Studio.
In effetti, essa - se appare fondata - può indurre la Commissione a creare pressioni (se del caso, mediante l’apertura di una formale “procedura di infrazione” ai sensi dell’art. 258 TFUE) sulle competenti Autorità nazionali (centrali o locali) affinché modifichino la normativa o prassi amministrativa interna considerate in contrasto con la normativa o giurisprudenza comunitarie.
La denuncia può anche riguardare la giurisprudenza dei giudici nazionali (specie quella della Corte di cassazione e delle altre giurisdizioni superiori), sempre se contraria al diritto europeo, purché sia espressione di un orientamento generalizzato (e dunque non sporadico).
Le denunce in materia di concorrenza (antitrust e aiuti di Stato) sono assoggettate a regole particolari dal punto di vista procedurale e possono sfociare, se ritenute fondate, in decisioni della Commissione europea irrogative di sanzioni a carico delle imprese denunciate o dichiarative dell’incompatibilità dell’aiuto statale con il diritto comunitario (con conseguente divieto di concedere l’aiuto o, se già concesso, con l’obbligo di recupero da parte delle Autorità nazionali).
A prescindere dal settore, la denuncia - a volte - permette di depositare nell’ambito di una causa nazionale eventualmente pendente le comunicazioni - se favorevoli - che la Commissione europea trasmette al soggetto denunciante.
Trattasi pertanto di uno strumento che può rivelarsi decisivo per la tutela dei clienti dello Studio.
Va ricordato che - proprio grazie a denunce presentate - lo Studio ha ottenuto che lo Stato italiano modificasse la normativa interna (per esempio, diminuendo sensibilmente le sanzioni previste in materia di “monitoraggio fiscale” in relazione alla mancata compilazione del c.d. “Quadro RW”) o la propria prassi amministrativa (per esempio, con conseguente rinuncia alla pretesa erariale e successiva estinzione del procedimento giurisdizionale pendente).
A titolo esemplificativo, e per limitarsi agli ultimi cinque anni, lo Studio ha presentato denunce:
- contro imprese tedesche sospettate di aver infranto le regole europee in materia di concorrenza (artt. 101 e 102 TFUE);
- contro l'Italia per aver previsto e applicato misure fiscali da considerarsi aiuti di Stato incompatibili con le regole europee (artt. 107 e 108 TFUE);
- contro l'Italia per violazione, da parte delle Autorità doganali locali, della normativa comunitaria in materia di diritti di visita sanitaria;
- contro l'Italia per violazione, da parte delle Autorità doganali locali, della normativa comunitaria in materia di importazione di aglio cinese;
- contro l'Italia per violazione, da parte della Corte di cassazione, della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di diritto di detrazione dell’IVA;
- contro la Polonia per violazione, da parte di autorità regionali, della normativa europea in materia ambientale nonché dei principi di libertà di stabilimento e prestazione di servizi, avendo rifiutato - si ritiene per ragioni discriminatorie basate sulla nazionalità - a una società polacca con capitale interamente italiano l’autorizzazione a mettere in esercizio un impianto di smaltimento rifiuti.
Denunce al Mediatore europeo contro casi di cattiva amministrazione
Lo Studio infine prepara, introduce e coltiva davanti al Mediatore europeo (ai sensi dell’art. 228 TFUE) denunce relative ai casi di cattiva amministrazione che coinvolgono istituzioni, organi e organismi dell’Unione europea.
Possono sporgere denuncia al Mediatore europeo:
- i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea e le persone residenti in uno Stato membro;
- le imprese, le associazioni e altri soggetti che abbiano sede nell’Unione europea.
Anche la denuncia al Mediatore europeo - è bene evidenziarlo - non fa venir meno di per sé l'opportunità di esperire le possibili azioni giudiziarie davanti al Tribunale dell’Unione europea.
Ciò nonostante, a volte, essa può costituire un utile
rimedio in alternativa all’azione giudiziaria, dato che
il Mediatore europeo - laddove ravvisi un caso di cattiva
amministrazione - può decidere di incoraggiare soluzioni
amichevoli che soddisfino sia il denunciante sia
l’istituzione.